A Rimini, una delle principali piazze cittadine, è chiamata Piazza Tre Martiri.
Si tratta del cuore della Rimini romana, il foro, ovvero l’incrocio tra il Cardo ed il Decumano. Successivamente il suo nome è stata anche Piazza Grande, Piazza S.Antonio (in ricordo della presenza del santo in città e del miracolo della Mula), per diventare piazza Giulio Cesare (anche qui per ricordare il discorso che tenne Cesare dopo l’attraversamento del Rubicone) ed infine dal 1944 Piazza Tre Martiri.
Come mai ?
Si vuole ricordare il sacrificio di tre giovani partigiani riminesi: Mario Capelli, Luigi Nicolò, Adelio Pagliarani.
23, 22, 19 anni. Presero decisioni che potevano cambiare e stravolgere la vita, compresa l’eventualità di porvi fine, come poi successe ai tre.
La condanna a morte avvenne non per attentati a soldati ma per aver posseduto armi e incendiato una trebbiatrice, impedendo il rifornimento alle truppe tedesche.
Un quarto si salvo ‘miracolosamente’ per essere andato a raccogliere del rosmarino nella corte di un palazzo vicino a dove si trovavano, visto che quel giorno avevano trovato della carne da mangiare.
Un commilitone aveva rivelato sotto tortura il luogo del loro nascondiglio.
Il 14 agosto del 1944 furono catturati in Via Ducale, vicino al ponte di Tiberio, ancora oggi un’iscrizione ricorda il palazzo dove avvenne l’evento.
Furono torturati ma non rivelarono i nomi dei compagni.
Due giorni dopo furono impiccati in piazza Giulio Cesare e lasciati in vista come monito per tutti i ‘banditi’ per 3 giorni.
La forca era ancora presente in piazza all’arrivo degli alleati, poco più di un mese dopo, il 21 settembre 1944.
Nel punto dell’esecuzione c’è una fascia obliqua rispetto alla pavimentazione con 3 luci che vuole ricordare il loro sacrificio.
Dallo scorso anno (2024) in occasione dell’ottantesimo anniversario, il comune ha valorizzato l’area con una ‘cornice’ metallica che porta il nome dei tre e la data della loro esecuzione. Questa rende molto più evidente la zona impedendo di calpestare il monumento, cosa che precedentemente poteva succedere ai più distratti con lo sguardo rivolto ai gabbiani.
Tra le testimonianze dell’evento ci sono varie foto prese da diverse angolazioni che, personalmente, mi suscitano una forte rabbia.
Paradossalmente (ma questa è sempre una mia opinione) l’opera invece più commovente è un disegno del caporale tedesco Herbert Agricola che ha dipinto la scena presa dai portici posti di fronte al patibolo.
Voglio chiudere uno dei capitoli più dolorosi nella storia della città con una poesia che ogni anno, nell’anniversario della loro morte, viene pubblicata su siti web e giornali. Fa battere forte il cuore.
--- Va là, tugnino --- (“Tugnino”, in dialetto riminese “tugnìn”, significa “tedesco”)
di Emanuele Vannini “Van deer Gaz”
Va là, tugnino. Te non ce l’hai, questa fortuna.
Te, ti tocca morire lontano da casa, che tra un po’ arrivano gli americani. Oppure ti va peggio e ti tocca vivere e ricordarti cosa ci hai fatto.
Tugnino, ma te, lo senti quest’odore? Questo è il mio mare, non è il tuo. È il motivo per cui sono scappato da quel treno su cui mi avevi caricato quando m’avete preso la prima volta e son comunque tornato qui a battermi; è la salsedine che a noi, qui, ci scorre nel sangue.
Non ce l’hai questa fortuna, te, tugnino.
Te per mettere i piedi nel mio mare ti devi togliere gli scarponi e per fare il bagno ti tocca appoggiare il fucile, io quelle onde le ho assaggiate che ero bambino e come ora c’erano dei gabbiani che cantavano di gioia perché li teneva su il vento.
Te li senti, tugnino? Ce la fai, a staccare le orecchie dagli ordini che ti urlano e dai rumori che ti sembrano minacciosi o non ce l’hai, ‘sta fortuna?
Io quando ho dato dei baci avevo i piedi nella sabbia ed era agosto, come ora. Quindi appendimi in alto in alto, tugnino, che voglio arrivare a vedere il mio mare anche dalla piazza. La sabbia e il mare si mangiano anche le corazze dei granchi, e le fanno diventare sabbia e mare; succederà così anche a me.
Va là, tugnino. Te non ce l’hai, questa fortuna.
Cristian